LADRI DI CONSENSO

Ma in Italia c’è un regime oppure no? Chi dice di sì è un pirla, chi nega, uno gnocco allineato. La verità è che certe parole non ci raccontano più, non ce la fanno, arrancano. Sono fuorvianti. Il nostro premier è un dittatore? Tu pensi a Hitler, a Stalin, al generalissimo Franco. Sorridi arguto e storicamente compassionevole: ma che cacchio vai dicendo? Pensi agli orrori, ai gulag, ai lager, alle deportazioni. Storia dolente ma bacucca, da bisnonni. In Italia siamo liberi di votare e di sceglierci il premier che più ci aggrada. E il Nostro è graditissimo. Il dissenso? Quattro gatti (ed è paurosamente vero).
La democrazia si fabbrica col consenso? Allora questo governo ha un livello di consenso paragonabile alla quantità di spaghetti consumata dai suoi elettori.
Ma se una sana democrazia dovesse misurarsi anche con la capacità di consentire il dissenso, la nostra è paragonabile a quella dei consumatori di formiche fritte o in umido.
C’è poi una domanda che ormai non si pone più quasi nessuno. Può esserci piena democrazia se quel consenso è stato manipolato, con la menzogna, il raggiro, e la concentrazione dei poteri in poche mani? No, “la democrazia trapassa in dispotismo”. Non l’ha detto Marco Travaglio ma Platone. Quindi viviamo sotto schiaffo di un governo dispotico? Neppure questo è esatto.
Le parole della nostra politica sono sfinite. Logorate, vuote, appartengono a una civiltà estinta. Non reggono alla spregiudicatezza dei tempi. Alla tecnologica sofisticazione del potere. Il consenso non si raccoglie nei comizi elettorali o nei talk show, quello è marginale, poiché riguarda una minoranza intellettuale. Il consenso si fabbrica (ma sarebbe più esatto dire si ruba) imponendo modelli di comportamento, gusti, bisogni, costumi e consumi di massa; semplificando le complessità; omettendo le verità sgradevoli; blandendo o aizzando gli animi a seconda del risultato politico che s’intenda conseguire, attraverso slogan seduttivi e di facile presa popolare. Ladri di consenso. Per rubarlo a mani basse è necessario il controllo dei sistemi di comunicazione di massa, pubblici e privati, e il logorio dei cosiddetti poteri di controllo e di vigilanza, primi fra tutti la magistratura e la stampa.
Quello che è accaduto in Italia non ha una parola che lo esprima. La troveranno, forse, gli storici contemporanei dei nostri nipoti. Ma il danno che è stato dolosamente provocato nel cervello e nell’inconscio collettivo degli italiani è stato incommensurabile. Se le dittature del Novecento avevano bisogno di deportare i dissidenti, questa “cosa senza nome” che stiamo subendo in Italia, per lo più ignari, non ne ha avuto neppure il bisogno. Ci ha “lagerizzato” il cervello. Idee e pensieri sono circondati da matasse d’invisibile filo spinato. Come dirlo e a chi dirlo? E con quali parole politiche esprimerlo senza essere presi per paranoici o apocalittici?
Se soltanto dieci anni fa, per esempio, la televisione ci avesse informato (oramai l’ignavia lo vieta) dell’esistenza di un presunto “papiello”, scritto di proprio pugno da Vito Ciancimino, riguardante la complicità di pezzi dello Stato e di uomini ancora oggi al potere, con Bernardo Provenzano e Totò Riina, che culminò con le stragi di Capaci e di via d’Amelio, saremmo scesi in piazza in decine di migliaia, pretendendo di far luce sui fatti. In nome di Falcone e Borsellino. Gli editorialisti del Corriere o de La Stampa avrebbero forse ancora posto dieci domande al premier sul suo sodale Dell’Utri (fondatore di Forza Italia) prima delle quali, questa: lei e Mr Silvio, avete mai ricevuto lettere da Bernardo Provenzano? Perché il figlio di Vito Ciancimino sostiene di sì. Ed è vero che il governo di allora intavolò una trattativa con la mafia? Silenzio. I cadaveri digrignano i denti negli armadi trasversali del potere. L’unica rimasta all’opposizione si chiama D’Addario e fa la escort.
E’ noto che l’ottanta per cento degli italiani s’informa esclusivamente attraverso la Tv. Ma il fatto che i telegiornali colpevolmente tacciano su questo genere di notizie (comprese sulle sciocchezzuole erotizzanti come Noemi Letizia) non ci assolve. Se siamo diventati un popolo di conigli la colpa è anche nostra. Se ci hanno scimunito, è altresì vero che noi non abbiamo opposto resistenza (un’altra gloriosa parola che sembra aver perduto forza e significato).
Chi ci salverà? La stella nascente del Pd, Debora Serracchiani, che in un’intervista pubblicata oggi sul Magazine del Corriere dichiara: “Durante la campagna per le europee ho incontrato un entusiasmo pazzesco nei miei confronti. E’ un fenomeno da studiare socio-politicamente”? Personalmente, invece, approfondirei la sua cultura da Santanché, un berlusconismo introiettato, “la consensite” (chiamatela come vi pare) accoppiata con un egocentrismo mica da ridere. A proposito di ridere, poche pagine prima Pietro Calabrese, nella sua rubrica, parlava di un’altra magnifica parola che in Italia ormai non pratica più nessuno: la sobrietà. Ce l’insegnavano i nostri padri (i nonni della Debora). La sobrietà: il perfetto contrario del berlusconismo. No, anche a sinistra non siamo sobri. Si tenta di fabbricare consenso tale e quale agli altri: ma è una fabbrica in procedura fallimentare, da “vorrei ma non posso”, e gli italiani hanno il primato mondiale di salto sul carro dei vincitori. Potrà “l’entusiasmo pazzesco” riscosso da Debora far loro cambiare opinione?
L’ultima chicca della censura (ma anche questa parola non contiene più l’infamità solerte dei più realisti del re) è il rifiuto, da parte della Rai (nonché –ovvio- di Mediaset) del trailer di un film. Il film s’intitola “Videocracy” (ecco una parola che si avvicina alla “cosa senza nome” che ci sta scimunendo). La pellicola racconta l’ascesa delle TV Mediaset, fra veline, letteronze, Emilii Fede scodinzolanti, e tutta la compagnia di giro, da Lele Mora a Fabrizio Corona, Simona Ventura e via sculettando. Lo spot del film è stato rifiutato dalla Rai. Una volta la censura si limitava a sforbiciare alcune scene di un film. Ora fa di più: oscura addirittura il trailer.
Con una lettera inviata al distributore della pellicola, Procacci della Fandango, la Rai giustifica la censura perché il trailer veicola “un inequivocabile messaggio politico di critica al governo”. E con questo? Non ci sono parole. Infatti la notizia, a parte Repubblica, non la troverete mai, né, ovviamente, l’apprenderete dai telegiornali. Che praticano una forma di “sobrietà” assoluta: tacere. Chi tace, acconsente. E chi non acconsente tace per forza, perché la radio e la Tv gli sono interdetti. Chiamatela come vi pare, è una gran porcheria.