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SI CHIAMAVA CORRADINO QUEL SEDICENNE CHE VOLEVA LIBERARE L'ITALIA MEZZO MILLENNIO PRIMA DI GARIBALDI

A soli sedici anni un ragazzino italo-tedesco, scomunicato dal papa, varcò le Alpi con un piccolo esercito per liberare l’Italia dal potere della Chiesa e dai tiranni stranieri. Si chiamava Corradino. Tutti ricordiamo l’impresa di Garibaldi, ma del fantastico e lungimirante sedicenne dagli occhi azzurri, che aveva avuto la stessa idea oltre mezzo millennio prima, si è quasi persa memoria.
L’Italia di oggi è deprimente, forse per questo avevo smesso di scrivere romanzi, non perché tema di sporcarmi le mani col presente ma perché a coprirci di melma bastano e avanzano certe notizie quotidiane; da noi ormai è già tutto un thriller, e il fantasy o la fantascienza non sono il mio genere. Ma tengo viva la speranza che i sedicenni di oggi si liberino dalla dittatura dei mediocri che ci infestano e trovino la forza di ribellarsi a quella dozzina di miliardari che si stanno comprando e spartendo il pianeta.
Loro non sanno chi era Corradino di Svevia ma l’Italia di oggi non è poi tanto diversa da quella del Medioevo che “il principe azzurro” osò sfidare col coraggio un po’ incosciente di tutti i ribelli della Storia. Nel 1265 era spaccata in due tra papisti e imperialisti, nel 2025 lo è ancora (mi viene da gridare di rabbia e di noia) tra fascisti e antifascisti. Per la verità è spaccata tra due blocchi contrapposti in apparenza, ma con parecchie magagne condivise e scarni valori di bandiera, che si disputano il potere con un entusiasmo esclusivamente loro e dei loro famigli.
Ho scritto “Il principe azzurro” perché, se si vive in un paese di ombre si è affamati di luce, e se all’esterno i grandi esempi scarseggiano, bisogna cercarseli all’interno, nelle nostre radici.
La storia di Corradino iniziò a brillare per me da quando un maestro ce ne accennò sbrigativamente a scuola. Mi entusiasmò di più di quella del Conte di Montecristo, perché era realmente accaduta e alzai la mano per saperne ancora, ma «Corradino di Svevia non è nel programma» fu la scocciata risposta dell’insegnante, un prete.
Sul piccolo degli Svevi, sull’ultimo discendente di una “stirpe di vipere”, -così li bollò papa Innocenzo IV (che detto da lui suona quasi un complimento)-, si sa poco. E quasi nulla della sua infanzia, come quella di Gesù sorvolata dai vangeli, sebbene entrambi fecero più o meno la stessa fine, tradimento compreso. Perciò ho iniziato il romanzo da quel vuoto mai raccontato, da quando a otto anni, orfano di Corrado IV, il padre che non aveva mai conosciuto, viveva segregato in un castello in Baviera da Elisabetta, sua madre, regina di Germania senza più potere, terrorizzata che volessero assassinarlo. Perché Corradino è il nipote di grandi imperatori, Federico I il Barbarossa e Federico II, lo “stupor mundi” che ha riempito l’Italia di castelli, di belle arti, di cultura. E che gli ha trasmesso nel sangue il sogno di unire Oriente e Occidente, condito da spezie esotiche e dai profumi degli aranceti siciliani.
«Io mi sento italiano» confiderà Corradino al suo unico, eterno amico Federico d’Austria, che un giorno scenderà in battaglia con lui. Ma intanto altri inquietanti bambini si aggirano nel castello dove i ritratti degli antenati “né vivi né morti” lo squadrano dalle pareti. Sono quattro piccoli sosia, vestiti e pettinati come lui, che -si racconta-, sua madre comprò da povera gente del borgo per ingannare gli eventuali sicari inviati per assassinarlo. Se Corradino fosse morto, infatti, sarebbe stato lo zio Manfredi, suo reggente, a salire sul trono di Sicilia che per diritto di sangue spettava al piccolo degli Svevi, così come la corona di re dei Romani di suo padre.
L’inatteso arrivo di Yesuf da Gerusalemme nel castello bavarese, un guerriero arabo-normanno già maestro d’armi di Federico II, è il punto di svolta del destino del piccolo imperatore triste e solitario. Con il suo mentore non solo imparerà a combattere con l’arco, la lancia e la spada, ma riceverà l’iniziazione al Krya Yoga, una segreta tecnica spirituale che Yesuf apprese da un santo di Benares in visita in Terra Santa. Dal suo mentore imparerà che «un imperatore raduna il suo più invincibile esercito dentro di sé» e che meditare vuol dire questo: «imparare ad essere infinito».
Quando lo zio Manfredi viene sconfitto e ucciso nella battaglia di Benevento da Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia, gli imperialisti italiani chiedono a Corradino di scendere in Italia, vendicarlo e sfidare il nuovo papa, francese come Carlo, che ha tradito il giovane svevo piazzando sul trono di Sicilia il re usurpatore. Elisabetta, la regina di Germania si oppone, ma Corradino, ormai sedicenne, si ribella alla madre e parte per riconquistare l’impero dei padri, la “patria” del cuore.
Se fino a questo momento era un romanzo di formazione, ora “Il Principe Azzurro” diventa la storia vera di un ragazzo che osò sfidare il mondo. Mi guardo bene dal rovinarvi la festa e non vi spoilero nulla, né sulle battaglie né sul primo amore, quello con Fiammetta, la figlia dell’uomo che lo tradirà. Qualcosa di simile a quello che accadrà fra altri due ragazzi di trecento anni dopo: Romeo e Giulietta. Giunti Editore l’ha inserito nella collana dei romanzi storici. Io penso, invece, di avere scritto un film di carta. Non sono uno storico né un erudito. Ma soltanto uno scrittore che ha sentito il bisogno di prendersi un po’ d’aria dall’Italia greve di oggi. Spero che la respireremo insieme.
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