C’è meno amore in giro, meno amore. Si respira aria fredda e scostante. La cura è di accogliere tutti nel cuore. Per primo chi ci sta sulle scatole. Anche perché, se ci irrita tanto, significa che nelle sue parole e nei suoi atteggiamenti abbiamo riconosciuto ciò che più detestiamo di noi stessi. Lo so, mica facile sorridere a un mondo ostile. Lo stesso, dobbiamo strapparci il filo spinato dagli occhi, guardare fiduciosi in quelli degli altri, scoprire che più sono aggressivi più sono barricati dietro ai loro ego. Odiano perché hanno paura. Ieri pensavo che sono nato in un’epoca in cui si scrivevano le lettere e tutte le lettere, tranne quelle commerciali o a un superiore, cominciavano con un Caro o Cara. Quando i francobolli sono andati in soffitta, siamo passati dai tempi trepidanti dell’attesa del postino alla vittoria telematica dell’immediatezza. Ma le mie e-mail attaccavano sempre così: Cara o Caro. Mi sono accorto che il mondo aveva preso un’altra piega quando tutte le e-mail degli altri esordivano con Ciao. Ho resistito a mettere un Caro prima del nome, poi ho ceduto anch’io per non apparire bacucco o, peggio, troppo affettivo. Immaginatevi ora quanti miliardi di Caro o Cara ci siamo perduti nell’etere in questi anni fugaci. E quanti milioni di tonnellate di affetto corrispondenti sono andate smarrite. Perché, se non sei falso o ipocrita, non puoi scrivere Cara o Caro se prima non hai spremuto una goccia d’affetto per quel nome al quale stai scrivendo. Per un Ciao, invece, non devi spendere proprio un bel niente. Sono gratis ma impersonali. Non restano attaccati al cuore. Sono più liquidi di un fiume. E passano. Non sono cazzate. Se lo sono, sono cazzate col potere di cambiarti l’umore. Caro Diego era una cosa, Ciao Diego un’altra. È la differenza che passa tra una cena a lume di candela e una partita a tennis. Il Ciao è sportivo, il Caro ti riconosce come amico o amica. Poi magari non sarà vero ma almeno ci ha provato. Ha bussato con intimità e rispetto al tuo cuore. Il Ciao sfonda la porta. Non sono nostalgico di nulla, accolgo il mondo così com’è, però l’osservo. E le piccole cose sono la mia scuola. La gratitudine, per esempio, la benzina dell’anima. Come mai i nostri serbatoi di gratitudine sono sempre a secco? Tra un grazie e un’alzata di spalle c’è la stessa differenza che passa fra una carezza e un calcio. Giorni fa un amico ha dimostrato gratitudine per me e mi ha fatto un enorme regalo. Ma è stata la sua riconoscenza, più del dono, a riaccordarmi con l’orchestra del mondo. Piccole grandi cose senza le quali si muore. Ciao a tutti, mie Care, miei Cari.
(Photo by Luisa Beltran)
Caro Diego i tuoi articoli del 17 e 18 gennaio mi son piaciuti molto: la forza delle parole è spesso sottovalutata; sto leggendo” La manomissione delle parole” di Carofiglio e trovo che sarebbe utile divulgarlo nelle scuole.
Anche io non voglio essere una bacucca, però la gentilezza ha poco a che fare con l’età, semmai ha a che fare con le diverse epoche che ci troviamo a vivere.
Scrivere lettere era una dimostrazione di gentilezza notevole, peraltro manifestata in una forma elegante: nessun sms, nessuna e-mail, figli della nostra società liquida e in corsa(verso dove?), potrà offrire a chi legge la stessa ricchezza e profondità d’animo di una lettera scritta a mano: la mano, mentre scrive, pensa! E davvero ti ringrazio molto per aver condiviso con i tuoi lettori La magica lettera d’amore che tanto altro esprime al di là delle dolci e sentite parole di un giovane padre al suo bambino.