Ho una stalker che mi perseguita da vent’anni. Una signora con un nome arzigogolato, tipo Gersenda Meridione. Sedicente funzionaria di una nota emittente tv, diciamo, La7. Di me sa tutto come se mi avesse clonato il cellulare. Si fece firmare una copia del Mercante di Fiori nel 1997 a Grado, in Friuli. Piegandosi sul tavolo e mostrandomi la sua prosperosa femminilità, mi sussurrò: «Tu sai chi sono, vero, tesoro?». Aveva una faccia lunare, gli occhi slavati degli psicopatici, era corpulenta e severa come un busto di marmo di Vittorio Emanuele II.
Con un sorriso imbarazzato le accennai di no. Fortunatamente la fila dietro, ciascuno con la sua copia da autografare, rumoreggiava. Gersenda mi allungò uno sguardo di complice intimità, che neanche mia moglie la notte delle nozze. E scomparve.
Negli anni, su di me investì tempo e denaro. Me la ritrovai a ogni presentazione dei miei romanzi, da Cernusco sul Naviglio a Marina di Ragusa, in prima fila o confusa nella folla. Sempre coi suoi abitoni scollati. Suonò anche alla porta di casa a Roma e Dio abbia in gloria l’inventore degli spioncini. Mi riempiva la casella di posta elettronica con missive d’amore e d’insulti. «Siamo fatti l’uno per l’altra, sei uno stronzo, non si va contro i piani divini del destino!». Ebbi l’ingenuità di risponderle, provai a farla ragionare. Ma si trattava di una pazza intelligente e preparata, come Annie, la protagonista di “Misery non deve morire” che sequestra in casa uno scrittore ordinandogli di resuscitare la sua eroina preferita, morta stecchita nel romanzo precedente. E non mollò mai la presa.
Mia moglie cominciò a sospettare che “dietro” doveva per forza esserci “qualcosa”. I nostri bambini, quando uscivo per comprare le sigarette, scherzavano maliziosamente: «Vai a letto con Gersenda?». Un inferno. La bannai da ogni social. Le mandai la gentile ma ferma diffida di un legale, perché nel frattempo me l’ero ritrovata al supermercato, seduta nella poltroncina dietro al cinema (non dissi niente ai miei familiari per non spaventarli) o si catapultò nella mia macchina bloccata al semaforo rosso. Spalancò lo sportello: «Tesoro!» Ne avevo quasi terrore, cominciai a odiarla. Poi, improvvisamente com’era venuta, scomparve.
L’anno scorso è riapparso il suo nome, Gersenda Meridione, nell’elenco mattutino di e-mail. Questa volta ce l’aveva con Il Libro Nero. Non perché non le fosse piaciuto, anzi, ma come mai, invece che con Mondadori, l’avevo autopubblicato su Amazon? Avrei potuto farmi intervistare magari dalla Gruber su La7. «Ma senza editore…».
Lessi, come faccio con tutti, ogni mail successiva. Senza rispondere, come invece uso. Sembrava purificata dal dolore. Mi scriveva con gentilezza e rispetto, raccontandomi della sua famiglia falcidiata dalle malattie e dalla malasorte. Mi ha intenerito (nel frattempo sono cambiato anch’io) così ho deciso di risponderle perché non voglio escludere nessuno dal mio cuore. E da quando ho sessant’anni non ho più paura di niente.
Intendiamoci, Gersenda Meridione aveva sempre il suo caratterino pepato, se non era d’accordo su un mio post di Facebook si scalmanava, senza più vomitarmi tutto il suo livore, ma civilmente, e soprattutto senza tirar giù tutti i santi perché mi rifiutavo alle sue avances comandate da Dio in persona.
Finché l’altro ieri, la Meridione mi confessa che è stufa di lavare pavimenti all’ospedale, che non ce la fa più e sta pensando di emigrare come tanti laureati italiani rifugiati all’estero. Così le rispondo: «Perdonami Gersenda, magari ricordo male, ma non stavi a La 7?». E lei, testuale: «Pota Cugia sarà un’altra Gersenda Meridione….io a La 7???? A portar via lo sporco???».
Niente da fare, mi dico, è sempre la stessa Orlanda Furiosa. Tuttavia, nel dubbio, controllo la cinquantina di e-mail che mi ha scritto. In effetti, la prima Gersenda, la Doc, scriveva da un indirizzo Google, questa Gersenda qui da Tiscali. Ma non è una prova. Poi però m’imbatto in un suo allegato, una foto, non l’avevo neanche aperta per non ritrovarmi di fronte quella faccia un po’ così, da luna squinternata. E scopro il volto gentile di una trentacinquenne un po’ triste, con i suoi due bambini.
Incredibile ma vero. Un’omonima. Si è anche giustamente offesa perché per un anno ho risposto a lei come se fosse un’altra. Se avessi letto con maggiore attenzione sarebbe stato lampante. Ma come si fa, con quel nome identico da stalker? Eppure è accaduto. Cose che capitano solo su Internet.