NOI, DIETRO IL FILO SPINATO

Ora che il coronavirus ci ha insegnato che gli appestati possiamo essere noi. Infettati di egolatria sovranista. Ora che il Covid-19 è un marchio sul nostro Dna non più puro tricolore, e non soltanto malato d’importazione cinese, ma con tutte le bandiere del mondo dentro che ci sventolano nel profondo del cuore. E dipinto sopra ogni bandiera il volto di uno “straniero”,  il contagiato globale, nostro figlio, fratello, amore, donna o uomo che sia. Ora che abbiamo finalmente capito che tutti siamo uno, che gli stranieri “appestati” siamo noi, contempliamo questa foto con occhi nuovi, come se fosse un ritratto del nostro stesso album di famiglia. Quello che custodiamo nel cassettone del comò o al piano alto della libreria, con dentro tutte le foto della nostra vita. Dici che non li conosci? “Questi chi sono?” Sono 50mila migranti del filo spinato, tra la Turchia e la Grecia. È l’album di casa nostra che si accresce rapidamente, come il coronavirus, di migliaia di nuove foto al giorno. La bomba umanitaria, accesa dal premier turco Erdogan, è esplosa. La Grecia brucia. La polizia spara gas lacrimogeni contro famiglie intere, bambini che cercano disperatamente di aprirsi un varco nei reticolati per sfuggire alla guerra. E gli europei stanno a guardare. Non dire “Che c’entriamo noi con tutto questo?”, non dirlo. Non ti conviene. Se non vuoi che domani altri contagiati dall’egolatria sovranista, la loro, usino le stesse parole contro di te.