Bisogna essere grati. L’ho imparato tardi (testa di coccio) ma giusto in tempo per non diventare una testa di qualche altra cosa. Da “tutto mi è dovuto”, con una giravolta di 360 gradi, a ringraziare tutto e tutti, sempre. All’inizio suona un po’ falso come tirar su gli angoli della bocca con due dita per simulare un sorriso in un giorno di malinconia. Poi diventa uno stile, un sorriso genuino, un’abitudine mentale, sociale, un monito interno, un suono grato, finché tutto il tuo spirito, compresa la sua ombra che s’illumina, diventa totalmente riconoscente. Se ti hanno fatto uno sgarbo, licenziato, offeso, isolato, se ti senti perduto e abbandonato, meglio, ho imparato che tutte queste sono occasioni d’oro. Non sto dicendo che dobbiamo augurarci il peggio, siam mica masochisti, no, dico soltanto che dobbiamo scoprire la formula della salvezza. Un ispirato poeta tedesco, Friedrich Hölderlin, la descrisse così: “Dove c’è il pericolo, cresce anche ciò che ti salva”. Se vinci al Lotto, dire grazie all’Universo lascia le stelle indifferenti. Ma se ti senti spacciato e vinto, provare gratitudine verso gli altri e per la vita (che, ricordiamocelo sempre, non c’era dovuta) ecco, questa calda gentilezza interiore fiorita nel pericolo, fa si che anche le stelle s’inchinino al tuo passaggio. Come, non so dirvelo, ma il cuore lo sa. Il suo rullo frenetico diventa un tambureggiare calmo. Il respiro, da pesante che era e pieno di sé, si fa leggero, quasi assente. E su queste onde terse e calme, perché la gratitudine placa anche le burrasche, non appaiono più, a terrorizzarci, i mille mostri ingannevoli di noi stessi, ma soltanto i vostri volti, il tuo, il tuo e il tuo, amiche e amici riconoscibili uno a uno. E primi fra tutti quelli dei nostri “nemici” di una volta, che ringraziamo per averci spinto talmente in mare aperto e nella notte più tetra, da averci in realtà benedetto, aiutandoci, in un mare d’odio, a scoprire quant’è dolce e magnifica la vita.