LE VOCI DI DENTRO

Ieri mi sono fatto un’intervista. Anche voi, vero, ce l’avete una voce interiore che vi fa domande a sorpresa? No, perché essere pazzi insieme è bellissimo, da soli così così. Adesso non so se questa voce interiore sia quella della coscienza, o di me bambino, dell’anima, del Sé eterno o di mia nonna, fatto sta che mi fa domande a bruciapelo, a volte storiche come se fosse Indro Montanelli, tipo: «Che avresti fatto l’8 settembre del 1943?»

Premesso che io sarei nato dieci anni dopo, la “voce Indro” pretende una risposta al volo. Cosa avrei fatto quando il generale Badoglio proclamò l’armistizio, il re vigliacco fuggì da Roma, l’esercito si sfaldò, i tedeschi nostri alleati diventarono nostri nemici, un grande gong suonò l’inizio della Resistenza, e altri ragazzi (alcuni con candore, per non sentirsi traditori, tra questi anche Dario Fo) si arruolarono nella Repubblica di Salò? La voce interiore non accetta i “Ma che ne so?”, m’incalza, mi scassa la minchia.

Le rispondo che sarei andato in montagna, partigiano, e quella mi fa «Sì, sì, perché no?, può darsi, ma se fossi stato, metti, un tenente di vascello tu forse saresti andato col re nell’Italia del Sud già liberata, non appresso a quella corte di cortigiani vigliacconi che ti avrebbe fatto vomitare, ma solo per fedeltà alla bandiera. Di certo non eri fascista e non lo sarai mai, e di certo non saresti tornato a casa gettando l’uniforme sotto le macerie. Quindi delle due l’una: o con una banda partigiana o a Brindisi, magari a Bari, speaker di Radio Bari Libera, e chissà che la tua reincarnazione precedente non fosse proprio quella che incitava a ribellarsi ai nazisti da Radio Bari e trasmetteva “Chattanooga Choo Choo” dell’orchestra di Glenn Miller?»

Uffa, che rodimento però, il problema con le voci di dentro è che bisogna essere sinceri a 360 gradi, altrimenti ti si guasta la giornata. Troppo facile credersi il “partigiano Johnny”, bisogna immedesimarsi anche in ruoli scomodi o orrendi, io faccio il romanziere ed è un dovere provare a indossare anche un’anima di merda, come quella di un SS a Sant’Anna di Stazzema, lanciare un neonato per aria e sparargli ridendo, fino a sentirmi colare sulla testa gli sputi degli angeli dal cielo, perché bisogna imparare a immedesimarsi in tutti, anche nei demoni, e poi fare la tua libera scelta, decidere chi vuoi essere davvero e con chi stare. E io sto coi poveri e con gli infelici, con gli uomini fantastici e con i vagabondi delle stelle, mica perché sono bravo e buono ma perché ci sto senza sforzo, è la mia tribù.

Altre volte m’intervista una voce interiore frivola, genere inviata di “Chi” o “Novella 2000”, che mi fa domande da gallina di Banderas, del tipo: «Stai sull’autobus e vedi Carla Bruni con la chitarra in grembo, che piange, ulula e si dispera perché Sarkozy l’ha mollata, vorresti consolarla, come fai?»

Ma di solito la mia voce interiore è meno frivola, come quella di poco fa, che mi ha chiesto a muso duro: «Ti sto puntando una pistola alla tempia. Puoi salvare tre cose della tua vita. Quali salvi? Rispondi immediatamente o sparo».

Ho risposto: «La meditazione, l’amore, gli altri».

Lei, bontà sua, ha abbassato il revolver e mi ha lasciato andare.

E tu che cosa salveresti? Quali tre cose sono, per te, fondamentali?

BUON ETERNO DIVERTIMENTO, RAGAZZI!

Above_GothamCredo che nessuno di noi nasca per caso, ma che un fascio di atomi stellari, irradiati dalla nostra volontà di vita, abbia scoccato una freccia, una stella cometa piccola piccola come un’indicazione stradale, ma che ha colto precisamente il bersaglio prescelto: siamo qui, ora, perché qui e ora avevamo voluto, allora, manifestarci. Lo sentivamo. Era la nostra occasione.
Volevamo che la nostra freccia-cometa centrasse quel corpicino in procinto di nascere, fra miliardi, e ne incendiasse, con la nostra anima, il cuore.
Qual era lo scopo di quest’ultima missione? Perché sei qui?
Chiederselo incessantemente, invece di vagare per il pianeta con la faccia di scimmie in gita a New York, dovrebbe essere il nostro principale dovere e piacere. Che ce l’eravamo dimenticati nell’atto di nascere è ovvio: la vita è un film della durata media di un’ottantina d’anni, con un’alternanza di scene di tutti i generi: avventurose, epiche, drammatiche, comiche, sentimentali e fantasy. Chi mai resterebbe chiuso nel cinema Terra per tutta la sua vita se già conoscesse la trama e il finale? Se ne tornerebbe di corsa, sbadigliando, fra le stelle.
Ma quella domanda, l’unica che conti, è ineludibile (fra il primo e il secondo tempo, soprattutto fra il secondo e il terzo): «Perché sono qui? Rivela te stesso e lo scopo della tua missione. Rivela, rivela, rivela…». Questa la chiamo realtà. La vita è pura immaginazione. Perché sono qui? Tutto il resto è cinema, per tutti i gusti e tutte le età.
Il finale non può essere la morte, scontata, prevedibilissima, mentre la vita quasi mai lo è, per nessuno. Quale grande regista si rincitrullirebbe al punto da far morire, dopo aver offerto un così immenso spettacolo, tutti i suoi personaggi? Si tratta di un nuovo inizio, un rito che si succede in tutti i tempi, semplice ma inevitabile. Nel preciso momento in cui il film “finisce”, il nostro io stellare scocca una freccia, più levigata della precedente e più precisa. Colpisce il futuro più adatto, il corpicino che ci occorre, il luogo per sperimentare le nuove esperienze che dobbiamo farci. Motore! Partito! Ciak! Azione! Rinati.
In realtà non si tratta di un unico film, la vita, ma di una serie televisiva stellare della quale siamo registi e protagonisti sulla Terra, per molte e molte stagioni.
«Perché sei qui, ora? Rivela, rivela, rivela…»
Quando rispondiamo perfettamente alla domanda, l’arco e la freccia si dissolvono, come lo schermo. E il bambino eterno è felice. Si cambia! L’universo superiore abbonda di cinema e di spettacoli molto più sfavillanti della Terra.
Buon eterno divertimento, ragazzi!