I COMANDAMENTI DI NINO

Ci sono persone che non si capacitano, come i bambini, i folli, i poeti, e come il giudice Nino Di Matteo che sopravvive da 20 anni sotto scorta. In un paese in cui ormai quasi tutti si capacitano di tutto (e di questo capacitarsi d’ogni più sozzo fatto gli italiani “che sanno” menano pure vanto, con quel sorriso di cinismo da Titanic sotto i baffetti, sorseggiandosi un drink mentre tutto affonda, oggi tanto di moda), anch’ io non mi capacito, semplicemente perché non ci riesco. E così mi guardo Di Matteo – ieri alla Versiliana – con lo stesso candido trasporto di quando andavo al cinema parrocchiale da piccolo, e ogni cosa che dice mi risuona più o meno come la voce di Dio che scolpiva i dieci comandamenti sulle tavole di Mosè, interpretato da Charlton Heston nel colossal di DeMille. Per esempio (ma è una battuta cinematografica?): «C’è un dato che nel dibattito pubblico viene spesso dimenticato. Ed è quella sentenza passata in giudicato che condanna Marcello Dell’Utri a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Dell’Utri, fondatore di Forza Italia, è stato ritenuto colpevole della stipula di un accordo fra Silvio Berlusconi e le famiglie mafiose più potenti di Palermo. Un patto siglato nel 1974 e rispettato fino al 1992». Vi sembra cinema? Invece è vero. Assolutamente vero. Sancito da tre gradi di giudizio. Non capacitiamocene, mai. Non è Charlton Heston o Yul Brinner ma sempre Nino che parla sugli schermi della nostra anima italiana schizzati di sangue e fango: «Negli stessi giorni in cui emergevano queste motivazioni della Cassazione, Matteo Renzi, il presidente del consiglio d’allora, discuteva proprio con Silvio Berlusconi, su come riformare la Costituzione».

La Messa di Requiem all’Italia di oggi è finita. Andate in pace. Ma non capacitiamocene più, altrimenti quell’accordo fra Stato e Mafia l’abbiamo firmato pure noi. Amen e buon The End, ops, volevo dire week end.

(Nella foto il PM Nino Di Matteo)

SANGUE E MERDA

Se non facciamo qualcosa, siamo tutti collusi. Ormai in Italia sembra di vivere sotto i colonnelli greci al tempo di “Z, l’orgia del potere”. Con chi ce l’ho? Innanzi tutto con noi stessi, come popolo, senza schiena dritta, senza dignità, senza coraggio, vili. Poi con la maggioranza dei giornalisti che non fanno il loro mestiere: spiegarci quel che sanno (e lo sanno, lo sanno) degli osceni accordi intercorsi fra Stato e Mafia. Quelli che ci hanno cambiato il destino a tutti. Quelli grazie ai quali sono morti Falcone e Borsellino, per intenderci. Ma è mai possibile che le intercettazioni in carcere di un boss della mafia non provochino una sollevazione popolare? E la stampa? E il Parlamento? Ma che cazzo di terra desolata è diventata l’Italia? Sangue e merda.

Ricapitoliamo.

Il boss Giuseppe Graviano, che sta scontando l’ergastolo per stragi mafiose, viene intercettato in carcere per un anno. Graviano si sfoga con un detenuto. Con chi ce l’ha? Con quel “crasto” (cornuto) del nostro quattro volte ex presidente del consiglio Berlusconi. Quattro volte, sant’Iddio. «Al Signor Crasto gli faccio fare la mala vecchiaia», minaccia Graviano. Per quale motivo? «25 anni fa mi sono seduto con te, giusto? Ti ho portato benessere» precisa Graviano rivolto al suo ex potente “amico” Berlusconi. «Tu lo sai che mi sono fatto 24 anni, ho la famiglia distrutta… alle buttane glieli dai i soldi ogni mese! Io ti ho aspettato fino adesso, e tu mi stai facendo morire in galera senza che io abbia fatto niente. Ma pezzo di crasto, vaglielo a dire come sei al governo! Che hai fatto cose vergognose, ingiuste…».

Bene. Tutto quello che ho sentito è la dichiarazione di uno degli avvocati dell’ex premier che accusa la giustizia a orologeria d’interferire con le elezioni amministrative di oggi. E tutti gli altri? E noi? Nulla da dichiarare?

Ma questo paese di sangue e merda non ha memoria storica neanche di quel che è accaduto tre anni fa?

Nel maggio 2014, tre anni fa, la Cassazione ha confermato la condanna a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa nei confronti del braccio destro di Berlusconi, l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri. Che vuol dire? Vuol dire che la nostra suprema corte ha sentenziato in via definitiva che l’accordo fra l’ex 4 volte presidente del consiglio italiano Berlusconi e Cosa Nostra c’è stato sin dal 1974 (grazie alla mediazione del braccio destro dell’ex cavaliere,  Marcello Dell’Utri, che era il presidente di Publitalia, quella che raccoglieva pubblicità per le reti  del biscione; attualmente in carcere). Ribadisco, è stato confermato dalla Cassazione che “Dell’Utri intrattenne stretti rapporti con le vecchie organizzazioni mafiose di Stefano Bontade, Totò Riina e Bernardo Provenzano sino alla stagione delle stragi di Falcone e Borsellino facendo da intermediario fra le organizzazioni malavitose e Silvio Berlusconi”.

E noi? Zitti. Come se la mafia fosse la nostra chiesa.

Buona domenica.