RICCHI MA BRUTTI

Credo che gli italiani di oggi siano più infelici di quelli sopravvissuti all’ultima guerra e che la causa di questa bruttezza nazionale dipenda dai soldi che si sono insediati al primo posto nella scala dei valori della vita. Intendo dire che i poveri di oggi sono, a parità di condizioni economiche, molto più poveri di quelli di cinquant’anni fa. Un film del neorealismo rosa del 1957, “Poveri ma belli”, oggi dovrebbe intitolarsi “Ricchi ma brutti”. A quei tempi, infatti, ci si identificava con i poveri. Nel caso del film di Risi (scritto da Pasquale Festa Campanile, ingiustamente dimenticato) due poveri cristi bulli, amici d’infanzia, s’innamorano della stessa commessa di sartoria, che poi s’invaghirà di un terzo. Uno dei due fa il bagnino. L’altro lavora in un negozio di dischi. Nel neorealismo, compreso quello rosa, il tema è spesso il denaro, come nei film di oggi, ma ai ricchi spettano ruoli da comparse. Perché gli italiani s’identificavano con i poveri, magari ingenui, talvolta ladruncoli, comunque “belli”. I poveri erano, allora, eroi romantici. Sarà pure una magra consolazione, ma può fare la differenza. Essere poveri non era vergognoso come oggi in cui il denaro è il re della politica, della cultura e del tempo libero.
“Ricchi ma brutti” è il film dell’Italia di oggi. Il titolo e il cast sono rovesciati. I poveri non fanno neppure le comparse, sono letteralmente invisibili. I protagonisti indiscussi sono i ricchi, i sedicenti tali, e tutti quelli che, pur di avere uno scampolo di ricchezza, di potere, e “un attimino” di visibilità alla tv, venderebbero al demonio quel briciolo d’anima rimasta. Essere poveri non è più nobile o bohemienne, non è ribelle né poetico, non tenero né spaccone, non è da giovani né da vecchi, non ti concede, neppure al cinema, l’illusione della speranza. In Italia, mezzo secolo dopo, essere poveri fa schifo.
Credo che il vero cancro di questo Paese sia tutto qui. Non è un caso se i poveri votano in massa il più ricco d’Italia. La sinistra, talvolta, parla in nome dei poveri. La sinistra, talvolta, dice “qualcosa di sinistra”. Ma non è mai, mai una volta, capace di fare un “gesto” di sinistra. Neanche loro sono più poveri ma belli.
Non rimpiango le miserie dell’Italia contadina né le macerie del dopoguerra. Diffido delle ideologie politiche e religiose che hanno insanguinato il Novecento. Ma continuo a preferire un uomo senza soldi ai soldi senza un uomo. Apprezzare la ricchezza è naturale, ma ignorare il malessere interiore che cinquant’anni di benessere esteriore hanno provocato, in particolare in noi italiani, è suicida. Che il consumismo sfrenato ci abbia reso ricchi ma brutti, basta guardare la televisione per rendercene conto. E che la povertà, peraltro dilagante, non abbia più dignità, diritto di parola, rappresentanti in Parlamento, mi sembra altrettanto evidente. Ridurre tutto questo -come va di moda oggi- a un plebiscito pro o contro Berlusconi non ci porterà lontano. Può darsi, e non me lo auguro, che rimpiangeremo i nostri guai attuali. Questo cancro sta già producendo metastasi nei nostri figli. I vizi dei padri, che una volta si trasmettevano nel sangue dopo qualche salto di generazione, oggi si contagiano in tempo reale con un clic, e fanno già parte del loro Dna.
Ultimamente uno dei miei sogni ricorrenti è quello di sognare per filo e per segno quel che sta realmente accadendo nel nostro Paese. Questi “sogni realistici” mutano con le prime pagine dei giornali, ma il finale è sempre lo stesso. Una vocina consolatoria (l’unico elemento di sogno autentico) al mattino mi fa: «Hai visto? Era tutto uno scherzo!» Così mi sveglio sorridente ma giusto il tempo di realizzare che invece è tutto vero e il burlone era il sogno.
Dovrei farmi curare? Può darsi. Giuro che se avessi la ricetta la distribuirei gratuitamente. Purtroppo la medicina non ce l’ho, ma in compenso ho la ragionevole certezza di non essere il solo a vivere quest’incubo e patirne le conseguenze. Possiamo accontentarci del “mal comune mezzo gaudio”? No, e non possiamo nemmeno ridurci, come ora, ad attendere che il premier si dimetta o che vinciamo al Superenalotto. Sarei ipocrita se negassi che l’uno o addirittura entrambi i colpi di fortuna non lenirebbero il mio dolore. Passata l’euforia, temo però che il malessere di ridursi a fare le comparse di “Ricchi ma brutti”, riaffiorerebbe tale e quale.
L’Italia ha bisogno di un nuovo film, nuovi attori, nuovi autori, e soprattutto di nuovi sentimenti, nuove passioni e nuove emozioni. Avere la chiara e lucida consapevolezza di questo (e della trama scadente alla quale sono soggette le nostre vite) già sarebbe un successo, perché, comunque vada, sarebbe finalmente il nostro film e non questa rimasticatura di una storia che non ci appartiene e non ci appassiona.
Diciamocelo, comunque lo si rigiri, “Ricchi ma brutti” fa cagare.

2 commenti su “RICCHI MA BRUTTI”

  1. Ciao Diego,come al solito il tuo pezzo è molto bello e originale.
    Riscrivo qui sopra dopo un pò di tempo,perchè è proprio il tempo che manca….tra il lavoro,il sito degli invisibili,facebook il tempo a disposizione sparisce in quattro e quattr’otto.
    Credo una cosa però,che noi Invisibili sicuramente non siamo ricchi(per lo meno parlando di denaro),ma siamo sicuramente belli….siamo poveri, belli e ricchi di buone intenzioni,speranze e voglia di incontrarsi.Non so se basterà….ma rimarremo belli per sempre.
    Ciao Diego e ciao a tutti
    Ci vediamo a Roma

  2. Il problema è sorto quando ai film neorealistici basati sui “poveri ma belli”, sono seguite alcune commedie all’italiana – degli stessi autori – che portavano in alto i “poveri ma furbi”.
    Hai perfettamente ragione quando scrivi che in questi cinquant’anni abbiamo visto progredire benessere solo esteriore. Ci sono ancora troppi poveri. Ci sono sempre più furbi. Ma di belli ne restano veramente pochi.
    Se ne sono accorti quegli autori lungimiranti di cui sopra, quando hanno capito che invece dei belli, l’italia fabbricava solo “mostri”.

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