Spazio X

Nell’estate del 1977 Radio 2 aveva esaurito il budget. Così, per dare un taglio ai costi, il capostruttura Vittorio Zivelli, un gran signore napoletano tra i primi funzionari della Rai di un tempo, antesignano di tutti i DJ con il suo famoso programma “Il discobolo”, s’inventò “Spazio X”, una trasmissione “monstre” che andava in onda tutti i giorni dal primo pomeriggio a notte fonda, senza interruzione, a parte i GR e la pubblicità. L’idea era quella di affidare a nove DJ in erba tre spazi di mezzora ciascuno in cui presentare le proprie scalette musicali accompagnate da qualche commento improvvisato. I nove giovani debuttanti (tranne Max Catalano che era quarantenne e già noto come trombettista dei “Flippers”) erano tutti in competizione fra loro. Il pubblico a casa poteva votare il DJ preferito inviando una cartolina postale a Via Asiago. I voti sarebbero stati conteggiati e, a settembre, la Rai avrebbe assicurato al primo e al secondo classificato, un posto al sole e un’assunzione con un contratto per un nuovo programma.

Da sin.:il regista Lino Beretta, Massimo Catalano, Linda Brunetta e Diego Cugia, da un articolo del RadiocorriereTv del 1978

La regia era di Stefano Micocci, figlio di Vincenzo, il grande discografico che aveva fondato l’etichetta IT, quella che lanciò De Gregori, Venditti, Rino Gaetano e tanti altri artisti eccezionali.

Diego e la sua Olivetti in una pausa tra un testo e l’altro di Spazio X.

“Spazio X” è stata la mia prima esperienza radiofonica da “conduttore”. Ricorderò sempre la prima puntata. Ero talmente terrorizzato che, come attaccò la mia sigletta personale, il tema della “Dolce vita” di Nino Rota, e dietro il vetro Stefano Micocci dalla regia mi fece cenno di parlare, attaccai a emettere suoni gutturali e parole smozzicate, rosso paonazzo, in preda a un attacco di panico. Guardavo la lucetta rossa con la scritta lampeggiante “On Air”, sentivo nelle cuffie le “risate” immaginarie degli italiani, il cuore mi batteva a 180 pulsazioni al minuto, sudavo a goccioloni grossi come chicchi di grandine, e non riuscivo a leggere il breve testo che mi ero preparato (ero l’unico che non improvvisava, ma si scriveva dei “raccontini”). Vedevo il capostruttura Zivelli che sferrava dei pugni alla parete della regia, imbestialito perché gli stavo rovinando la sua “creatura”, vedevo il regista Micocci che lo guardava spalancando le braccia, m’immaginavo papà e mamma a casa, sbigottiti davanti alla radio Grundig in salotto, e biascicavo come davanti a un plotone d’esecuzione. Dopo due infiniti minuti di tentativi grotteschi di dire “Ciao a tutti e benvenuti a…”, mandarono in onda il disco senza altri strazianti gorgheggi. Mi misero dieci gocce di Valium sotto la lingua. E mi ripresi.

Alla fine dell’estate risultammo vincitori Massimo Catalano (con 16.000 voti) ed io con 13.000. Ma sul letto di morte mia madre mi confessò di aver spedito almeno 3000 cartoline postali alla Rai  da diversi tabaccai anche di altre città firmandosi con nomi di fantasia. Comunque bene, Massimo ed io ce l’avevamo fatta, eravamo a cavallo! (Quello di viale Mazzini) E invece “Arrivederci e grazie”, nessun contratto, la Rai ci fece marameo.

In compenso con Catalano diventammo amici e soci. Ci trasferimmo a Milano e ci inventammo un nuovo varietà: “Torno subito”