29/01/2002 Quattro, interessanti, chiacchiere con DIEGO CUGIA, l'autore di NO Diego Cugia di Sant'Orsola, nato a Roma da famiglia sarda, è giornalista professionista, autore e regista. Il suo lavoro più noto è Alcatraz, programma radiofonico (e per qualche tempo anche televisivo) il cui protagonista è Jack Folla, un dj italiano, prima rinchiuso nel braccio della morte di un carcere americano e poi evaso. La sua voce e il suo pensiero sono tuttora ascoltabili su Radio Due (Jack Folla c'è, dal lunedì al venerdì alle 7.00 e alle 13.40). In No, romanzo edito da Bompiani, Diego Cugia racconta di una giovane professoressa italiana, costretta a condividere la propria memoria con il pubblico della Grande Rete sotto l'effetto di un veleno allucinogeno. Da www.pantalia.it D.Il suo libro è uscito quasi un anno fa, ma appare più che mai attuale. Non solo per la fase politica che stiamo vivendo ma anche perché la Tv continua a farsi i fatti della gente, ad invadere i loro spazi in maniera sempre crescente. Oggi la politica dipende dalla televisione, la televisione dipende dalla pubblicità. Si sta lavorando perché Scotti, Rovagnati e Valleverde diventino, domani, la "triplice" della politica, così come Lama, Carniti e Benvenuto lo erano della CGIL-CISL-UIL. Temo che fra qualche anno, gli auguri di Capodanno dal Quirinale li farà un pubblicitario. Nel suo libro Lei lavora di fantasia, inventa una storia "visionaria", eppure, nonostante ciò, non si può fare a meno di notare un'atmosfera molto reale: l'arroganza dei protagonisti dello show, la loro volgarità, l'indifferenza del pubblico. Si tratta un allarme lanciato, della previsione di un'ulteriore degenerazione dei mass media e dei loro fruitori, cioè noi? Tutto ormai ci scivola addosso, non trova? Catastrofi, epidemie, guerre: il dolore globale produce, come anticorpo, cinismo globale. La fantascienza si è realizzata, "La fattoria degli animali" di Orwell è la società in cui viviamo. L'unico antidoto possibile sarebbe il ritorno della passione politica pura: grandi uomini per grandi sogni. Uomini che sappiano ritrovare il senso dello Stato: la politica di servizio per gli altri, non per i propri interessi di bottega. Il potere per amare. Non è un'utopia, è idealismo del fare. Crede che internet e, più in generale, la tecnologia, siano strumenti "neutri", la cui pericolosità dipende da chi li usa o ritiene che si caratterizzino per una sorta di predisposizione al male, alla violenza? No, non credo alla demonizzazione dei mass-media. La TV, Internet, la Radio, la Stampa, sono tutte scatole di diverse forme e colori, ma sostanzialmente neutre. Ma sento il bisogno di un'etica forte, liberata e non censoria, che ispiri gli operatori del settore verso una rinascita della comunicazione, fondata su valori opposti al sensazionalismo e all' "audience" che sono i valori dei bottegai e dei saldi di fine stagione. Nel suo romanzo la scuola occupa un posto importante e a volte sembra che Lei, anche per il linguaggio usato, si rivolga direttamente ai giovani, come accade nel suo programma radiofonico, del resto. Che idea ha dei ragazzi italiani? Che non hanno padri né fratelli. Che sono soli e non sanno. Che sono cinici ma ingenui e destinati ad essere "carne da multinazionali". Ma mi sembra anche che stiano per avere uno scatto di reni. Ho come la sensazione che siamo nel 1967. Crede che la scuola italiana soffra la scarsa presenza di insegnanti come Speranza, la protagonista del libro, che non smette mai di educare i suoi studenti alla libertà e, quando è necessario, alla ribellione? No, credo che i maestri ci siano ma siano sfiduciati. E' in corso una grande omologazione, c'è un pensiero unico che fa rabbrividire. Credo che gli insegnanti di oggi, come certi genitori, addirittura temano di contagiare con i propri valori i loro alunni e figli. Per paura di farne dei "diversi". Dei vinti. Lei dedica "No" ai professori universitari che nel 1931 si rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo e persero la cattedra. Non trova inquietante che di questi professori non si sappia praticamente nulla, che non se ne parli nelle scuole italiane, nelle lezioni di storia? E' inquietante che il loro esempio, oggi, non solo non venga ricordato, ma forse non verrebbe nemmeno capito. Questo è un Paese in cui sono i furbi a fare scuola e i voltagabbana ad essere ammirati per la loro straziante "simpatia". Non è un libro recente quell' "Elogio dei voltagabbana"? Capisco che è un titolo da gente di mondo. Ma allora preferisco continuare ad essere fuori dal mondo. Un italiano latitante, come il mio Jack Folla. |