01/08/2008 |
L'Unità - Intervista a Diego Cugia Diego Cugia, vuole anticipare ai lettori dell’Unità che cosa troveranno nella nuova serie di Jack Folla? Un uomo che guarda il mondo, l’Italia in particolare, da una prospettiva oceanica, da una torretta petrolifera in disarmo galleggiante nel mare di Cristoforo Colombo. Nel suo primo pezzo, per esempio, Jack riflette sulle ex soubrette che nel nostro paesello diventano ministri. Sta rileggendo una biografia di Machiavelli e si chiede: il “Principe Nicolò” avrebbe nominato una delle sue amanti Segretario della Repubblica di Firenze? Il distacco di Jack, anche geografico, dalla zuffa quotidiana, lo aiuta a smarcarsi dai due soliti poli: indignazione o rassegnazione. Bisogna guardare all’oggi come fossimo marziani o italiani del futuro, oppure dei Machiavelli, dei Voltaire, altrimenti si finisce in trappola. Jack evade sempre. Questa Italia è peggiore di Alcatraz. Resistere non serve più a niente, bisogna immaginarsi un paese felice. Altrimenti dove andiamo? Che senso ha incazzarsi e basta? Quali aspetti di Diego Cugia sono trasmigrati nel personaggio di Jack Folla? Francamente non lo so più. Lui è come un figlio, indipendente, autonomo, libero. A volte esagera, allora dici «Questa roba qui l’ha presa da sua madre, e questa smania all’azzardo, a gettarsi nella mischia, dal nonno russo.» Chi se ne importa di me. Jack Folla è vivo. Come è nata l’idea di questo personaggio? Che cosa voleva rappresentare con Jack Folla? L’idea è nata dal sentirsi in gabbia, e dal voler vivere a occhi aperti, costi quel che costi, sapere almeno questo: per chi o cosa siamo vissuti e siamo morti. Possibilmente saperlo prima. Mentre oggi, in Italia, fai fatica. Jack ha sempre contrastato il berlusconismo, non tanto per antipatia all’uomo, che oltretutto nel suo mestiere è formidabile, ma perché già dieci anni fa individuava i bacilli della peste che avrebbero infettato gli italiani: la visione del mondo di un Creso. Così è stato: oggi, gira e rigira, parliamo solo di soldi. Ci siamo appiattiti sull’unico argomento di Creso. Risultato, lui è sempre più ricco, noi più poveri. La cosa pestifera è che ormai siamo poveri anche idealmente e culturalmente: siamo trasversalmente mediocri. Come vede Jack Folla la politica italiana di oggi? Lui è stato l’antesignano della non politica, dalla sua cella americana si rivolgeva a giovani e giovanissimi che versavano in un silenzio assoluto. Senza un fratello maggiore, senza padri. Gli ha sparato nelle orecchie il suo vocione, il suo rock ruvido, la sua enfasi retorica ma anche la sua esperienza umana. Sere fa sono uscito con un’ex ascoltatrice di Alcatraz. Allora aveva quattordici anni. Mi ha detto «Jack mi ha insegnato a pensare e a osare.» Altri sono andati a vivere fuori di casa, molti hanno comprato il primo libro con Jack, credo sia servito, nel suo piccolo, a dare una scossa. Oggi la situazione è davvero grave. C’è una rassegnazione così cupa che fa spavento. Sul blog di Jack in molti lo vorrebbero più incazzato che mai. Credo li spiazzerà un’altra volta. D’incazzati ne abbiamo piene le ceste, c’è già Grillo, la Guzzanti, Ovadia. E Travaglio, che apprezzo in modo particolare, perché lui è impeccabilmente documentato. Ma qui c’è qualcosa che profondamente non va. Più noi ci incazziamo più loro vincono. Jack dice: «Non puoi giocare a ping pong con un cinese, devi costringerlo a giocare a calcio.» Lo so, è difficile, ma non c’è altra strada che una nuova, ricominciare daccapo, gambe in spalla. Jack è partito. Probabilmente starà solo un sacco di tempo. Quali sono le cose che gli danno più fastidio nel mondo che lo circonda? L’ipocrisia. Quali sono le ragioni della censura che Jack Folla subì in Rai? Jack non è mai stato censurato in radio. Semmai in Tv ma nulla d’imperdonabile. Oggi invece, che mi risulti, non esiste un solo network nazionale disposto a dare un microfono a un uomo che ha parlato al cuore di milioni di persone. Su Jack sono state scritte una marea di cazzate, da giornalisti che non l’avevano, io credo, mai sentito: un “guru”, un “provocatore rosso”, un “narcisista adolescenziale”. Mentre di rivoluzionario Jack aveva solo questo: la tenerezza. È questo che li fa incazzare a morte, perché loro non ne hanno, sono bui, spenti. In “Fuoco e fiamme” Jack non s’incazza. È armato con la “ferocia dell’amore”. Un concetto che io stesso faccio fatica a comprendere. Lui dice così. Parliamo un po’ di lei. Quali sono i suoi autori di riferimento? Da ragazzo ho letto i romanzi che ho più amato: "Martin Eden" e “Il vagabondo delle stelle” di London, "Le illusioni perdute" di Balzac, "Alla ricerca del tempo perduto" di Proust, "Demian" di Hesse, le "Conversazioni in Sicilia" di Vittorini, "Tonio Kroger" di Mann, "Il Gattopardo" di Tomasi di Lampedusa, "Lo straniero" e “La peste” di Camus (ma soprattutto “Il mito di Sisifo” che mi ha insegnato ad accogliere l’assurdo dell’esistenza e a soffrire “felice”, quantomeno con dignità). Oggi leggo meno, purtroppo, ma faccio ancora begli incontri: Jules Renard, per esempio, letti i suoi diari capisci chi sia stato lo zio di Flaiano. Oltre alla letteratura lei ha raccontato che un’altra esperienza significativa è stata la psicanalisi. Ce ne vuole parlare? Mi fa ridere perché credo di aver battuto Woody Allen. Sono entrato in analisi freudiana a tredici anni. Sarebbe proibito stendersi sul lettino e fare associazioni libere a quell’età, ma il mio analista di allora era più matto di me. Mi disse: «Hai grandi capacità d’insight, d’introspezione. Te la senti di fare quest’avventura proibita?» Figurarsi, avevo appena letto “Zanna bianca” di London e sognavo di fare lo scrittore. Per me la psicanalisi era l’equivalente della caccia all’oro nel Klondike. Oltretutto non ero matto per niente, timidissimo, questo sì, e tiravo pugni al vento. In questi quarantadue anni ho avuto una dozzina di psicanalisti di tutte le scuole. Mi domando se ne sia valsa la pena e non lo so. Francamente, la vita è la migliore maestra. Ecco, sulle strade di oggi s’incontrano rarissimi maestri, poche aquile, e infiniti tordi, disillusi e vinti. Andare in analisi con questa gente è una condanna. Fanno più guai di Topolino “apprendista stregone” in Fantasia di Walt Disney. Bisogna fare grande attenzione con le forze oscure dell’inconscio. Jung diceva: “Se c’è qualcosa che vorremmo cambiare in un altro, prima dovremmo esaminarlo bene e vedere se non è un qualche cosa che faremmo meglio a cambiare in noi stessi”. E oggi che cosa le interessa e le sta a cuore? I miei due figli, e la loro generazione di quattordicenni: trovare la scintilla, la chiave, il modo di aiutarli a non essere schiavi, perché rischiano di essere piccoli incoscienti automi del consumismo più superfluo della storia. Poi mi piacerebbe che in Italia fossimo capaci di un nuovo Rinascimento, vorrei vivere incontri straordinari con gente comune, come allora erano un Gentileschi che se ne andava a braccetto con Caravaggio, o un Machiavelli che si beveva mezzo litro con Leonardo. Oggi, invece, il massimo dello storico è Bossi che vuol ficcare un dito nel sedere all’inno di Mameli. Poi dici che gli italiani si abbrutiscono, lo credo! Quando li sento dire “Padania libera” io mi piego in due dalle risate. Padania? Ma che stai a dì? Il guaio è che diamo credito a questa gentarella, per noi il povero Guido Angeli, il “re” delle televendite, scomparso l’altro giorno, era “un grande”. Funerali di Stato no? L’Italia non s’è “desta”, s’è scimunita. Diamoci una mossa. |