06/07/2003

"Il mercante di fiori" si vede sulla cresta dell'onda con gli occhi chiusi

Massimiliano Lussana

Questo è un programma a colori, un programma con l’home theatre: schermo gigante, dolby superstereofonico, effetto surround, visione panoramica, emozioni che partono dal video e arrivano dritte sulla pelle degli spettatori. A volte capita. A volte succede di imbattersi in un qualcosa che riesce nell’impresa di dare brividi, avvolgendo i cinque sensi. Il punto, stavolta, è un altro. Che l’impresa riesce a un programma radiofonico. Che, per definizione, potrebbe avere mille pregi, anche tutti, ma non uno. La radio – per definizione – non potrebbe essere vista. E invece. Ogni mattina, dal lunedì al venerdì, dalle 8.45 alle 9.10, su Radiodue va all’etere il miracolo: la radio che si vede. Il programma in questione è lo sceneggiato radiofonico Il mercante di fiori, due cicli per un totale di sessanta puntate, un vero e proprio kolossal sulla tratta delle bianche. L’autore del miracolo ha anche un nome adatto all’impresa: si chiama Diego Cugia di Sant’Orsola, che è già un nome da kolossal, un nome a colori, un nome che si vede mentre si legge, ed è quel Diego Cugia, il papà di Jack Folla, il papà di alcuni testi del primo ritorno in televisione di Adriano Celentano. Insomma Diego Cugia. Nelle sessanta puntate del Mercante di fiori – kolossal a partire proprio dalla durata, dodici settimane di programmazione, tre mesi di radio – c’è tutto Cugia: le sue suggestioni, la sua critica feroce e spietata del pensiero unico e dell’orwellismo dominante, l’attacco al denaro fine a se stesso, il racconto delle diverse sfaccettature dell’animo umano. E proprio quest’ultimo aspetto è l’ulteriore pennellata dei colori alla radio che Cugia riesce a far vedere: non c’è il buono completamente buono e non c’è il cattivo del tutto cattivo, non c’è il bianco e non c’è il nero. E già questa circostanza, nella radio che è il mezzo perfetto per raccontare il bianco e il nero, è davvero un gran risultato. Ma anche a prescindere dai contenuti, dal ritmo incalzante e dalla capacità straordinaria di raccontare le sfumature psicologiche dei personaggi della storia, il mercante di fiori è un kolossal a colori anche dal punto di vista della realizzazione tecnica: le voci degli attori, in pieno stile Jack Folla, sono profonde quanto basta per far sognare; gli effetti sonori, spesso reiterati o sottoposti a un passaggio di vernice vocale metallizzata, sono curatissimi e fanno subito balenare davanti agli occhi di chi ascolta la situazione che raccontano e in alcuni casi riescono a far accapponare la pelle per l’errore o la bellezza di quello che dicono; la musica, ricca di echi orientali, di flauti di Pan, di percussioni etniche di mille etnie, è la ciliegina su una torta di voci e di suoni che avvolge i sensi. A partire dalla vista, per l’appunto. E’ cinema, cinema alla radio questo Mercante di fiori. Con una sola controindicazione: è difficile ascoltarlo di passaggio, mentre si fa colazione o mentre si è bloccati in coda nel caos cittadino, come spesso succede quando si sente la radio di mattina. Le sessanta puntate di Cugia, come per le più nobili delle prime serate, vanno gustate con un bicchiere in mano, magari sdraiati su un divano. E lì, con gli occhi chiusi, inizia lo spettacolo. Si vede tutto. Alla radio.